“Grazie direttrice, a nome di tutti, per averci regalato emozioni bellissime”. Poi un prolungato applauso ha segnato la fine della visita guidata alla Biblioteca Antica del Seminario da parte di una ventina di soci del Lions Club Padova Host e di un gruppo di amici della Biblioteca stessa, tra i quali la consigliera comunale Anna Barzon.
Una visita partecipata, seguitissima, con tanti occhi ora puntati su quei giganteschi armadi stracolmi di libri, ora verso le mani della direttrice, Giovanna Bergantino, mentre con dolcezza sfogliava alcuni dei manoscritti più preziosi custoditi in questo tempio della cultura che ha ben pochi eguali al mondo.
In apertura della visita Giovanna Bergantino ha inteso sfatare una comune credenza: la Biblioteca Antica del Seminario non ospita solo libri di teologia o filosofia. Tutt’altro. È una sorta di ricchissima enciclopedia universale che raccoglie voci del sapere di tutto il mondo, dalla letteratura all’astronomia, dalla matematica alla fisica, alla medicina. Per un motivo, soprattutto, perché il fondatore della biblioteca, San Gregorio Barbarigo, vescovo della città, uomo dalla cultura sconfinata, voleva che i suoi preti fossero non solo devoti ma anche dotti, con un sapere adeguato all’alto ministero cui essi erano chiamati.
La biblioteca nasce nella seconda metà del 1600 con Gregorio Barbarigo che mette le basi, anche murarie, e detta le regole, per sacerdoti, seminaristi e per quanti ruotano attorno alla Chiesa padovana. Poi il racconto della direttrice-cicerone, si è soffermato sui periodi di espansione della biblioteca, a partire dal 1720, quando ci fu l’acquisizione del primo importante nucleo dei volumi appartenuti al conte Alfonso Alvarotti. Più avanti si registrarono donazioni di prelati e vescovi. Nel periodo napoleonico- ha ricordato la direttrice- pervennero al Seminario numerosi manoscritti appartenuti a comunità religiose soppresse. Fra le donazioni più importanti sono state ricordate quelle del vescovo Giustiniani, di Jacopo Facciolati, di Francesco Scipione Dondi Dall’Orologio: quest’ultimo donò al Seminario la celebre lettera del Petrarca, indirizzata al proprio dottore nella quale, scherzosamente ma non troppo, dichiarava la propria sfiducia nei confronti della classe medica.
Ogni libro della biblioteca del Seminario è sì importante per i contenuti, spesso inarrivabili se confrontati con altre istituzioni del settore, ma ciascuna pubblicazione ha seguito avventurosi percorsi per raggiungere l’attuale collocazione. Lo ha sottolineato la direttrice, ricordando in particolare il lascito di quindici manoscritti da parte di Mauro Mari, ultimo abate del grande monastero di San Benedetto di Polerone presso Mantova. Questi codici costituiscono uno straordinario documento della civiltà monastica medievale padana. Ebbene, furono i monaci a sottrarli alla confisca delle truppe napoleoniche affidandoli all’abate Mari che si rifugiò nella basilica di Santa Giustina, a sua volta soppressa nel 1810. Notte tempo un avventuroso trasloco fece sì che i codici raggiungessero la via del Seminario.
L’arricchimento di libri da parte della biblioteca, ha ricordato la Bergantino, si deve soprattutto ai suoi avveduti dirigenti e custodi. Quando morì il conte Alvarotti, a sollecitare l’acquisto del suo patrimonio librario presso gli eredi fu il bibliotecario Francesco Canal. Appena appresa la scomparsa del conte, all’alba si precipitò in vescovado, svegliò il cardinale Giorgio Corner pregandolo di non farsi sfuggire l’affare, perorato anche da Jacopo Facciolati.
Un altro gioiello custodito nella Biblioteca Antica è arrivato per merito dello stesso fondatore Gregorio Barbarigo. È una copia del “Dialogo sopra i massimi sistemi” con annotazioni a margine dello stesso Galilei che il suo ex segretario, nipote dello scienziato, gli aveva lasciato. Nonostante il “Dialogo” fosse un libro proibito dalla Chiesa, il vescovo di Padova conservò il testo all’interno della sua biblioteca e che venne donato alla sua morte al Seminario.
Un altro testo di assoluto valore è la “Naturalis Historia” di Gaius Plinius Secondus, stampato a Venezia nel 1476 da Nicolas Jenson.
Giovanna Bergantino con religiosa attenzione ha sfogliato questo rarissimo esemplare arricchito da un ornato ferrarese e subito dopo ha presentato due diverse edizione della Divina Commedia arricchite da preziose miniature.
La direttrice ha riservato ai visitatori una sorpresa finale, frutto di una recente scoperta avvenuta all’interno della biblioteca. Ha mostrato un libro appartenuto a Leone XIII, il “papa delle encicliche” (ne ha emanate 86, “Rerum novarum” compresa). Si tratta di edizione di fine 1700 che raccoglie opere di Virgilio. Sulla sovra copertina è impresso lo stemma di Papa Pecci. È la conferma che Leone XIII ammirava l’autore dell’Eneide.