In un’epoca che idolatra il gigantismo, fa tenerezza vedere una delle microscopiche edizioni uscite dalla Tipografia Minerva dei Fratelli Salmin, custodita nella Biblioteca del Seminario di Padova. Il formato è così piccolo che è impensabile una collocazione in scaffali, accanto alle migliaia dei suoi “fratelli” assai più grandi. Scomparirebbe letteralmente. Ha la sua copertina, più di 200 pagine, rilegatura, tagli superiori e inferiori perfetti, persino una custodia coeva, ma ha dimensioni di un’unghia del pollice: 17 millimetri in altezza e 9 in larghezza.

Ha per titolo “Galileo a Madame Cristina di Lorena, 1615” ed è stato stampato in un esiguo numero di copie nel maggio del 1897. Non ci sono carte che documentino il giorno del suo arrivo alla Biblioteca del Seminario. La bibliotecaria Giovanna Bergantino l’ha rinvenuto in un cassetto e ora lo custodisce con lo stesso affetto che una madre riserva al figlio più piccolo.

Il mini-libro è formato da 206 pagine, ha un’antiporta figurata con il ritratto inciso di Galileo e una brossura editoriale di colore grigio chiaro. In copertina, in basso, è indicata “Tip. Salmin”.

La Tipografia Minerva dei fratelli Antonio e Luigi Salmin si era specializzata nelle edizioni microscopiche, seguendo una moda che era nata in Francia. Nel 1830 Henri Didot (1765-1862) aveva creato un carattere tipografico su legno di 2,5 punti (oggi i caratteri di un giornale sono all’incirca di 9 punti), chiamato Microscopico. Il punto tipografico è un’unità di misura riferita all’altezza delle lettere (il punto Didot è di circa 0,37 millimetri). Didot era così convinto che nessuno sarebbe andato sotto alla misura dei suoi caratteri di stampa, tant’è che li aveva chiamati i “Non plus ultra”. Invece, quattro anni dopo, nel 1834, il piacentino Antonio Farina disegnò lettere inferiori di mezzo punto rispetto a Didot e le incise in acciaio, chiamandole “occhi di mosca” (avevano la dimensione di una capocchia di spillo). Nel 1850 quei caratteri vennero adattati per la stampa su commissione dei fratelli Giacomo e Giovanni Gnocchi, editori milanesi, dai tipografi monzesi Luca Corbetto e Francesco Pirola. Alcuni anni dopo, a seguito di un accordo fra Giovanni Gnocchi e i Selmin,  i caratteri incisi da Farina giunsero nella tipografia Minerva. Una tipografia ben attrezzata, ospitata nell’ex chiesa di Santa Giuliana, in via Roma, (in prossimità della via San Martino e Solferino) conosciuta dai padovani anche come chiesa di Sant’Uliana o S. Apollonia. Questa chiesa venne sconsacrata nel 1810 (era “parrocchiale”, aveva 5 altari e ospitava la “fraglia degli refici”) e divenne un magazzino e poi sede della tipografia Minerva.

Qui nel 1878 nacque la prima mini-edizione della Divina Commedia, con formato 57×37 millimetri, chiamata il Dantino. Consta di 500 pagine, per un totale di 496 mila caratteri, ogni pagina ha 30 righe con margine di 10 millimetri e ha un’antiporta con il ritratto di Dante. Un successo editoriale, frutto di 3 anni di lavoro. Ogni mese venivano prodotte 30 pagine. I caratteri mobili erano assemblati dal mitico tipografo Giuseppe Geche, al torchio, a inchiostrare e pressare, c’era l’impressore Luigi Baldan. I fogli del Dantino vennero acquistati poi dalla casa editrice Ulrico Hoepli che diffuse a sua volta un migliaio di copie  del Dantino, in due diverse dizioni, una economica e una assai pregiata.

Nel maggio del 1897 viene prodotto il secondo libro con “i caratteri del Dantino onde superare qualsiasi altra minuscola edizione” (questa la scritta che compare nel colophon della pubblicazione): contiene il testo della lettera fatta pervenire da Galileo alla granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena, nel 1615. In essa Galileo sostiene che la teoria copernicana non è in contrasto con le verità di fede, rivendicando la libertà della scienza rispetto alla religione e alla teologia.  Un totale di 206 pagine e l’impiego complessivo di 24.102 caratteri. Questo gioiello di arte tipografica venne esposto con successo all’Esposizione del Libro di Torino.

Dopo Galileo, nel 1902, toccherà a Manzoni. La Minerva edita il terzo mini-libro dedicato nientemeno che a “I promessi sposi”, formati 60×40, con 30 millimetri di spessore (un esemplare di questa pubblicazione è egualmente custodito nella Biblioteca del Seminario).

Tornando alla lettera di Galileo a Cristina di Lorena va detto che l’opera è stata considerata a lungo il più piccolo libro del mondo realizzato con caratteri mobili. Abbiamo conoscenza di quattro copie di questo microscopico libro. Oltre a quella di proprietà della Biblioteca del Seminario, ne possiede una copia la Libreria “Ai due Santi” di via del Santo a Padova, una terza copia si trova nella Biblioteca Malatestiana di Rimini, la quarta fa parte del lascito del Senatore Ugo da Como che nel 1941 donò alla fondazione che porta il suo nome, a Lonato del Garda (Brescia).

La Biblioteca del Seminario, oltre al libriccino con la lettera di Galileo, possiede anche pagine coeve non rilegate uscite dalla Tipografia Minerva, che riportano sempre le parole del grande scienziato alla granduchessa di Toscana, stampate con i caratteri “occhio di mosca”.

Oggi il primato di “libro più piccolo del mondo” composto con caratteri di stampa mobili metallici (caratteri extra-piccoli non riprodotti con procedimenti fotografici) appartiene ad una pubblicazione custodita nel museo Gutenberg di Mainz-Magonza (una copia è stata donata dal sindaco di Bodenheim, Thomas Becker Theilig al primo cittadino di Grezzana, nel Veronese, per la Biblioteca comunale, in occasione del gemellaggio fra le due municipalità). Ogni pagina del libro, che ha una superfice di 3,5 millimetri per 3,5, contiene il Padre Nostro in sette lingue: inglese, francese, tedesco, anglo-americano, spagnolo, olandese e svedese. E’ rilegato a mano con ornatura dorata e riposto in una minuscola cassetta, in plexiglas, che funge anche da lente di ingrandimento per la lettura.

Il “piccolo Galileo” della Biblioteca del Seminario, per ora, resta sul podio.

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