Una “piccola” mostra che racconta grandi storie. E’ la rassegna “Il Canova mai visto. Opere del Seminario Vescovile e della Chiesa degli Eremitani”, allestita fino all’8 giugno 2025 al Museo Diocesano di Padova (piazza Duomo 12).

Almeno due i pezzi forti della mostra, e due, in particolare, le grandi storie narrate attraverso un “monetiere” che conteneva una preziosa collezione di monete romane, e un “vaso cinerario” dedicato a una nobildonna tedesca, tenute insieme da due insigni fratelli, Giovanni Battista Sartori Canova, ex allievo del Seminario poi vescovo, e lo scultore Antonio Canova.

Il “monetiere” apparteneva a Giovanni Battista Sartori, fratello da parte di madre di Antonio. L’ha donato al Seminario in segno di “grata ricordazione” – come scrisse al vescovo di Padova, Modesto Farina – verso il luogo nel quale ebbe “la educazione letteraria ed ecclesiastica” e venne “assunto al sacerdozio”, ma “ben anche per supplire ad un bisogno di questo istituto troppo invero scarsamente provveduto per la istruzione dei giovani sulla scienza numismatica”.


Esposto nella Sala Barbarigo, del Palazzo vescovile, il “monetiere” domina, maestoso, questa sezione della rassegna. Realizzato in legno di “fico d’India”, all’esterno presenta “ornati di metallo e serrature”. E’ diviso in tre “riparti dall’alto in basso ognuno con sedici piccoli tiratoj muniti degli appositi incavi in tabelle mobili per ricevervi le medaglie e un tiratojo maggiore in basso, in tutto titatoj n. 51…”. Nella vetrina posta davanti al mobile, su uno dei cassetti sono custodite 48 monete, una selezione dei 3.593 pezzi donati da Giovanni Battista Sartori Canova. Le monete romane sono in bronzo e in argento e appartengono sia al periodo imperiale che repubblicano, messe assieme “da tanti anni di cure”, “quasi appassionate”.

Sempre proveniente dalla Biblioteca Antica del Seminario vescovile di Padova è esposto al Museo diocesano un nucleo ragguardevole di incisioni (dieci) del lascito del marchese Federico Manfredini.

Terzo “dono” ai visitatori della mostra da parte della Biblioteca del Seminario anche un busto in gesso che ritrae Giovanni Battista, opera di Antonio Canova, ulteriore testimonianza del profondo affetto che univa il grande scultore al fratello minore, nato dal secondo matrimonio della madre, Angela Zardo, rimasta vedova, quando Antonio aveva soli 4 anni.

Ecco, tutta questa sezione della mostra intende celebrare il 250.mo anniversario della nascita di Giovanni Battista Sartori Canova, sacerdote e poi vescovo dalla cultura sconfinata. Questo ex allievo è sempre stato grato al Seminario per gli studi classici a lui impartiti con impareggiabile passione, tanto da farne un profondo conoscitore delle lingue greca antica e latina, oltre un abile traduttore dell’aramaico.

Come ha ricordato Giovanna Bergantino, direttrice della Biblioteca Antica del Seminario, nel corso della presentazione della mostra alla stampa, ci saranno anche due appuntamenti per rimarcare lo storico anniversario: il 15 marzo alle ore 10 in Biblioteca conferenza del professor Michele Asolati su “Moneta, arte ed erudizione. I fratelli Canova (Sartori) e il loro medagliere al Seminario di Padova”; il 7 giugno sempre alle 10, l’archeologo Federico Goi Sartori parlerà su “Dalla storia al digitale: la valorizzazione della collezione numismatica Sartori-Canova nella Biblioteca del Seminario”.

L’altra storia narrata nella mostra allestita al Museo diocesano è legata al vaso funerario dedicato alla contessa Lodovica (Luise) von Callenberg, esposto per la prima volta in pubblico. Fu realizzato in marmo da Antonio Canova, fra il 1803 e il 1807, per l’amica tedesca morta improvvisamente, il 29 agosto 1803, nella villa del senatore Abbondio Rezzonico, a Bassano, mentre era ospite con il marito e una delle tre figlie. Il vaso faceva parte di un complesso monumentale voluto dagli amici della contessa, fra i quali Antonio Canova e il poeta Goethe.

L’urna solo a fine estate 1807 fu collocata nel Giardino degli Eremitani, dietro l’abside e davanti al cipresso, ancora esistente. Reca al centro il ritratto in ovale della nobildonna – fu apprezzata musicista –  affiancato da due putti.  Costituiva il focus del monumento funerario progettato e realizzato su idee canoviane da Gian Antonio Selva (1751-1819, architetto e paesaggista, e da Domenico Fadiga (allievo a Roma di Canova): di Selva era il cippo sostenente l’urna con la dedica alla defunta, composta da Goethe, in pendant alla stele con l’epigrafe redatta da un altro intellettuale amico di Luise, lo studioso di epigrafia greca e latina Stefano Antonio Morcelli (1732-1821, gesuita; mentre di Fadiga erano i sette candelabri reggenti la catena che circondava il monumento, commissionati ciascuno da sette amici della defunta e contrassegnati dai loro nomi. Questo capolavoro di arte funeraria in origine era collocato nel cimitero-giardino della Chiesa degli Eremitani a Padova. Fu dato per distrutto a seguito dei bombardamenti della Chiesa degli Eremitani nel marzo del 1944. L’urna cineraria fu ritrovata intatta, così come tre dei sette candelabri (un quarto molto danneggiato è custodito dalla Soprintendenza; tre mancano all’appello).


Con una pazienza certosina, una volontà ferrea, una dedizione che non ha conosciuto soste, Andrea Nante, direttore del Museo diocesano, assieme agli altri curatori della mostra, Elena Catra e Vittorio Pajusco, e con l’aiuto di una benemerita catena di esperti, è riuscito a riprodurre il monumento funerario a grandezza originale, con i diversi pezzi autentici (c’è anche un cipresso che ricorda quello che ancora oggi si trova all’esterno della chiesa degli Eremitani). Un’impresa davvero meritoria, “frutto di tanto sudore”, come ha detto Andrea Nante, caratterizzata da 5 erre: ritrovamento, recupero, restauro, ricostruzione e ricerca. Il complesso monumentale ricostruito campeggia nel Salone dei Vescovi.

E’ così ben riuscito al punto che, una volta conclusa la mostra, verrà trovata una sistemazione adeguata per non demolirlo. Lo ha assicurato il Sovrintendente Vincenzo Tiné: “è un’unicità da conservare” ha detto complimentandosi con i curatori della mostra.

Alla presentazione alla stampa della mostra ha fatto gli onori di casa monsignor Lorenzo Celi a nome del vescovo monsignor Claudio. Ha ringraziato tutti quanti si sono prodigati nell’organizzazione. Ne è nata una compartecipazione importante che ha portato, giorno dopo giorno, a un risultato che riempie di orgoglio l’intera Chiesa padovana. Anche Claudio Seno, responsabile dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Padova, ha sottolineato l’importanza del lavoro sinergico, un insieme di forze che consentirà in futuro altre importanti attività culturali.

Anche la direttrice della Biblioteca Antica, Giovanna Bergantino, ha detto, a sua volta, che lavorando assieme si possono raggiungere risultati importanti: “Sono convinta – ha aggiunto -che la mostra, nata dalla collaborazione del Museo Diocesano con la Biblioteca, possa costituire un’opportunità significativa, per avvicinare anche il grande pubblico alla conoscenza dei tesori che la Chiesa padovana orgogliosamente detiene. Spesso non riusciamo a raccontare adeguatamente ciò che la lungimiranza di chi ci ha preceduto ci ha lasciato in dono. Ebbene rassegne come questa costituiscono un passo importante per allargare i confini della conoscenza di tanti padovani, e non solo, innamorati di storie che vengono dal passato”.

La mostra è stata organizzata dalla Diocesi di Padova (attraverso il Museo diocesano di Padova, il Servizio diocesano per l’Arte sacra e i Beni culturali ecclesiastici, la Biblioteca del Seminario vescovile e l’Archivio storico diocesano), in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso. Un sentito grazie per la fattiva collaborazione è stato espresso alle Parrocchie degli Eremitani e di Santa Giustina.

Hanno patrocinano l’iniziativa: Regione Veneto, Provincia di Padova e Comune di Padova. La mostra è stata possibile grazie al sostegno di: Provincia di Padova, Comune di Padova, Camera di commercio di Padova, Confindustria Veneto Est, 8xmille alla Chiesa cattolica, oltre a numerosi altri sponsor. Alla realizzazione della mostra hanno inoltre contribuito con competenze, disponibilità, materiali una serie di altri soggetti e realtà private che hanno fatto proprio il progetto “Mi sta a cuore” ha lanciato anni fa dal Museo diocesano per coinvolgere la società civile nelle sue diverse espressioni, nell’impegno a recuperare patrimoni artistici del territorio, testimonianze importanti che non possono andare perdute. A questo proposito un grazie sentito è stato rivolto dagli intervenuti alla presentazione– tra gli altri – agli autori dei testi del catalogo, e ancora a: Arcadia arte, Passerella restauri, Studio Ferrari&Zollino, Ottart che hanno partecipato generosamente a questo complesso e ambizioso progetto.

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